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Il lavoratore che, durante il periodo di infortunio, svolge una prestazione di lavoro presso terzi può legittimamente essere licenziato per giusta causa da parte del proprio datore.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3630/2017.
Si tratta solo dell’ultima pronuncia, all’interno di una giurisprudenza tendenzialmente uniforme (si veda, ad esempio, Cass. n. 21093/2014), ma in cui non sono mancate anche decisioni favorevoli al lavoratore (ad es. Cass. n. 4237/2015).
Nel caso recentemente analizzato dai giudici di legittimità, un lavoratore, durante il periodo di infortunio, veniva sorpreso da parte di un investigatore privato inviato dal datore di lavoro mentre prestava attività lavorativa nella rosticceria della moglie.
A seguito della scoperta, il datore procedeva al licenziamento per giusta causa del lavoratore, affermando che il comportamento dello stesso era idoneo a ledere il vincolo fiduciario tra le parti, in quanto l’inadempienza del lavoratore riguardava il dovere fondamentale di rendere la prestazione di lavoro.
In primo grado, il Tribunale accoglieva il ricorso del lavoratore, ma la pronuncia veniva riformata in appello. La Cassazione, invece, ha confermato la legittimità del licenziamento, pronunciandosi sui motivi del ricorso presentato dal lavoratore.
In primis, il lavoratore contestava la legittimità di controlli occulti ai fini dell’adempimento della prestazione lavorativa. I giudici, però, hanno affermato che la disciplina dell’art. 7 della L. 300/1970 si può applicare in ragione del solo sospetto o dell’ipotesi che gli illeciti siano in corso di esecuzione, purché il controllo non riguardi l’attività lavorativa vera e propria.
Il secondo punto controverso riguardava la già avvenuta guarigione del lavoratore nei giorni in cui prestava lavoro nel negozio della moglie. La precedente giurisprudenza riteneva come rilevante, ai fini del recesso datoriale, solo che l’attività presso terzi fosse suscettibile di pregiudicare o ritardare la guarigione (Cass. n. 18507/2016).
La Cassazione, però, nella sentenza in commento, sottolineava come oltre alla violazione degli obblighi del lavoratore in caso di infortunio, tale condotta era lesiva degli obblighi di fedeltà all’impresa e di correttezza previsti dagli artt. 2104 e 2105 del codice civile, nonché gli obblighi specifici di diligenza gravanti sul lavoratore stesso.
Infatti, essendo perfettamente ristabilito, il lavoratore doveva tornare regolarmente al lavoro: il certificato medico ha infatti un valore prognostico e non autorizza il lavoratore ad astenersi dal lavoro se sia guarito prima del termine.
La condotta del lavoratore, quindi, è stata ritenuta suscettibile di violare il rapporto fiduciario tra le parti e che nessuna rilevanza aveva la gratuità della prestazione lavorativa, nonché il fatto che la prestazione svolta fosse eventualmente insuscettibile di ritardare o pregiudicare la guarigione: secondo la Cassazione il licenziamento deve ritenersi pienamente legittimo.