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La Rivista | nº 05 Maggio 2019


La disciplina delle società di comodo: le società agricole tra esclusione e disapplicazione

di Alberto Rocchi, dottore commercialista e revisore legale

Introdotta nel nostro ordinamento da oltre un ventennio, la normativa sul controllo e la repressione delle società cosiddette “di comodo” è passata attraverso una serie di aggiustamenti progressivi, suggeriti e, in alcuni casi, imposti, da problematiche applicative emerse nella prassi. Proprio in agricoltura, si erano manifestate le principali contraddizioni che hanno poi portato il legislatore a disporre una, sia pure parziale e condizionata, esclusione a beneficio delle “società agricole”. Grazie alle modifiche apportate, oggi l’intera disciplina sembra avere trovato un suo apparente equilibrio, anche se non mancano i rilievi che possono essere mossi sia sulla generale efficacia della misura in chiave anti evasione, sia in ordine alle incoerenze che si manifestano nello specifico di alcuni settori tra cui, quello agricolo, come sempre, è il più complesso e ricco di sfaccettature.

PREMESSA

Occorre ricordare che quando, verso la metà degli anni Sessanta, si pose per la prima volta il problema di reprimere gli eventuali usi distorti dello strumento societario, si pensò ad una normativa da inquadrare nell’ambito del diritto commerciale. Peraltro, la disciplina endosocietaria prevedeva già, direttamente o indirettamente, una serie di rimedi nei casi in cui la società non avesse svolto alcuna attività economica L’aspetto fiscale, secondo questa impostazione, non era centrale nella visione del legislatore in quanto le norme avevano essenzialmente finalità extra-tributarie. Verso la metà degli anni Novanta, tuttavia, si registrò un deciso cambio di paradigma e il problema venne ricollocato in ambito tributario. L’uso distorto del mezzo societario, infatti, è da considerare a tutti gli effetti uno strumento di evasione fiscale, sia perché consente la schermatura del possesso di alcuni beni, sia perché l’intestazione in capo alla società di alcuni asset, porta a beneficiare indebitamente di una tassazione ridotta. Si è scelto, quindi, di affidare a dei parametri il compito di misurare “l’operatività” della società, nella convinzione che in questo modo si sarebbe creato il giusto deterrente per scoraggiare le condotte da reprimere.

In realtà, è abbastanza evidente che l’obbiettivo non è stato raggiunto e, anzi, sebbene in alcuni casi la normativa abbia costituito un valido ostacolo per impedire il realizzarsi di disegni criminosi, molto spesso ha comportato una distorsione delle regole di mercato a scapito di settori difficilmente inquadrabili entro rigidi parametri numerici. In altri termini, la legge attuale, pur con tutti i miglioramenti e le attenuazioni apportati nel tempo, soffre di due grandi limiti:

  1. viene a colpire anche i soggetti pienamente operativi che però non riescono a raggiungere i margini lordi previsti dalla norma;
  2. lascia indenni società quali le immobiliari o quelle di gestione delle partecipazioni che, pur riuscendo ordinariamente a raggiungere la redditività lorda nella misura richiesta dalla norma, sono di fatto prive di “impresa”.

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