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Ogni agricoltore ha un pensiero fisso in testa: sapere a quale prezzo riuscirà a vendere il frutto del proprio lavoro. Una informazione cruciale che fa la differenza tra avere un utile o chiudere l'anno in perdita.
Tuttavia non sempre è chiaro quali siano le dinamiche che portano a stabilire che un dato prodotto alimentare vale un certo quantitativo di denaro. Anzi, leggendo i report sulle quotazioni spesso si rimane disorientati. Si cerca in questo contributo di proporre alcuni elementi per fare chiarezza.
Storicamente il prezzo dei prodotti agricoli, dal grano all’olio, dalla carne di maiale al miele, veniva fatto al mercato. L’agricoltore portava i suoi prodotti in paese e contrattava con l’acquirente il giusto prezzo che, molto semplicemente, dipendeva da quanto prodotto era disponibile in commercio e da quanto ne richiedevano i compratori. La famosa legge della domanda-offerta.
Lo stesso principio è riconducibile anche per l’impostazione delle Borse merci, nate più di un secolo fa. Luoghi in cui si scambiano prodotti e in cui vengono annotati i prezzi di vendita. Quei prezzi diventano così il punto di riferimento di un intero settore e ancora oggi piazze come quella di Milano, di Bologna o di Foggia forniscono indicazioni importanti sull’andamento dei prezzi dei cereali. Altri casi specifici possono essere considerati la “piazza” di Mantova per i suini, mentre quella di Parma per la carne macellata.
Tuttavia solo una piccola parte dei prodotti agricoli passa dalle Borse merci di cui, tra l’altro, non abbiamo indicazione sui reali volumi scambiati. Le Borse merci nazionali stanno di fatto attraversando un periodo di riforma perché non sono più rappresentative del mercato. Il MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) sta spingendo gli operatori ad avere per ogni prodotto una sede nazionale unica in cui trovarsi per vendere e acquistare e dunque fare il prezzo. Questo porterebbe sicuramente più trasparenza al settore.