tr?id=945082922274138&ev=PageView&noscript=1 Ortofrutta: lavorazioni conto terzi con o senza limiti?

La Rivista | nº 04 Aprile 2020


Ortofrutta: lavorazioni conto terzi con o senza limiti?

di Sauro Garavini, dottore commercialista e Massimiliano Mercuri, dottore commercialista

Sono ormai trascorsi quasi 20 anni da quanto il D.Lgs. n. 228/2001, modificando l’art.2135 del C.C., ha introdotto le attività connesse di fornitura di servizi.

Da allora tali attività connesse sono andate via via espandendosi in numerosi comparti dell’attività agricola ed in particolare nel settore ortofrutticolo. Molte aziende agricole, avendo effettuato ingenti investimenti per le proprie produzioni, stanno cercando di saturare e/o massimizzare la capacità produttiva dei propri impianti di lavorazione e confezionamento della frutta o degli ortaggi effettuando anche servizi di conto lavorazione per la frutta o la verdura di altri produttori agricoli o addirittura di commercianti.

L’ampliarsi e l’evolversi delle attività connesse di prestazioni di servizi richiede alle aziende una maggiore attenzione relativamente al loro corretto inquadramento, principalmente ai fini fiscali, per evitare contestazioni in sede di eventuali controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate o degli altri organi verificatori.

Ai sensi dell’art. 2135, comma 1, c.c., si qualifica imprenditore agricolo chi esercita attività di coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali (c.d. attività principali), nonché chi esercita attività connesse, cioè quelle attività complementari e accessorie alla produzione agricola principale, allo scopo di valorizzare i propri prodotti.

Il comma 3 dell’art. 2135 c.c. ha esteso, poi, il concetto di attività connesse anche a quelle attività “dirette alla fornitura di beni o servizi svolte mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata (…)”.

Ai fini fiscali, l’art. 56-bis, comma 3, del TUIR, prevede uno specifico regime forfetario per la determinazione del reddito derivante dalle attività di fornitura di servizi di cui all’art. 2135, comma 3, c.c. La norma prevede che il reddito venga determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’Iva il coefficiente di redditività del 25%.

Per poter ricadere nell’alveo dell’art. 56-bis, comma 3, è necessario che vengano rispettati due requisiti:

  • requisito soggettivo: l’imprenditore che svolge detta attività sia lo stesso soggetto che esercita l’attività principale;
  • requisito oggettivo: la fornitura di servizi sia svolta utilizzando “prevalentemente” attrezzature o risorse “normalmente” impiegate nell’attività agricola principale.

Fermo restando che il requisito soggettivo sia di semplice verifica, per ciò che attiene la sussistenza del requisito oggettivo i parametri da prendere in considerazione sono la “normalità” e la “prevalenza” così come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 44/E del 14 maggio 2002.

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