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La Rivista | nº 03 Marzo 2019


Prospettive e andamenti del settore avicolo. Intervista a Gianluca Bagnara - Presidente Assoavi

di Valerio Rustignoli

A Fieravicola, a fine mese, si riuniranno i più importanti esponenti del settore avicolo italiano. Che momento sta vivendo questo comparto?

“È un momento di sostanziale calma per il comparto, che sta vivendo comunque un cambiamento profondo di alcuni trend. Per quanto riguarda il settore delle uova, stiamo assistendo alla progressiva perdita dell’effetto traino delle festività e ciò comporta una progressiva destagionalizzazione dei consumi ed un conseguente appiattimento dei prezzi. Con riferimento al mercato delle carni, occorre invece prendere atto del fatto che esse siano percepite dai consumatori sempre più come commodity e, quindi, è il lavoro sull’innovazione dei prodotti e sui prodotti servizio a fare la differenza”.

Un altro tema sul tavolo è quello legato alla qualità degli allevamenti.

“Si tratta di una problematica su cui i consumatori stanno manifestando un crescente interesse e la maggiore attenzione a quello che avviene all’interno dell’allevamento rappresenta anche un’importante leva per la grande distribuzione. Fino a qualche anno fa, il marketing era incentrato sul prodotto: sulla novità, sulla facilità o rapidità di preparazione. Oggi questo non è più sufficiente: il consumatore è attento a come vengono gestiti gli allevamenti, a come vengono nutriti gli animali, al benessere animale, alla provenienza dei capi. C’è quindi grande attenzione a quello che succede lungo tutta la filiera produttiva”.

Per far fronte a queste richieste, quant’è importante il ruolo degli allevatori?

“Dalla gestione delle gabbie alla mangimistica, fino alla sanità degli animali, tante sono le richieste che la GDO presenta ai produttori, i quali, per fare fronte, devono sempre più strutturarsi. L’importanza di avere allevamenti qualificati e tecnologicamente avanzati rappresenta un importante biglietto da visita per i prodotti che finiscono sullo scaffale, così come decisiva è la presenza di un territorio organizzato e compatto, all’interno del quale sviluppare progetti di filiera. A differenza di quanto avviene in altri Paesi del mondo, dove vige un sistema improntato sulle industrie e sulla trasformazione, da noi, già da anni, le cose si sono strutturate privilegiando una struttura di filiera e mettendo gli allevamenti e la loro qualità al centro”.

Quanto è importante che gli allevatori collaborino tra loro per raggiungere obiettivi così alti?

“Si tratta di uno degli obiettivi che stiamo promuovendo come associazione, in quanto Assoavi, ma che anche a livello italiano si sta perseguendo, con la costruzione di sistema di qualità nazionale e la prossima fissazione di un disciplinare unitario, allo scopo di dare un’immagine unica con cui si possa distinguere la qualità e il valore dei nostri prodotti”.

Ciò potrebbe permettere magari un migliore piazzamento dei prodotti sul mercato internazionale?

“Per affacciarsi sul mercato internazionale, prima ci sono delle criticità da risolvere. Sembrerà banale, ma il settore avicolo è un settore prettamente agricolo e che all’interno dell’agricoltura pone le sue fondamenta, dall’alimentazione dei capi al loro allevamento. Quando si entra sul mercato, però, la competenza è del Ministero della Sanità che, per quanto riguarda l’estero, opera in collaborazione con il Ministero degli Esteri. Questa triangolazione di competenze finisce spesso per creare disagi e ritardi che comportano la perdita di opportunità per le nostre aziende. Si pensi solo alla famosa influenza aviaria: a distanza di oltre dieci anni dall’allarme, ci sono Paesi con cui abbiamo problemi a commerciare, visto che non sono stati mai sbloccati ufficialmente i traffici. Oppure possiamo citare l’epidemia aviaria che ha colpito tre anni fa gli Stati Uniti: lì c’era una grande opportunità, che Francia e Paesi Bassi hanno colto a pieno, mettendo a punto le procedure per l’esportazione di carni e uova in pochi mesi. L’Italia, ad oggi, non è ancora arrivata al termine di quell’iter”.

In quali direzioni vanno le prospettive di crescita del settore avicolo?

“Se c’è una cosa che tutti ci invidiano, questa è l’organizzazione del nostro settore in filiere complete dal punto di vista produttivo: il porto, la mangimistica, le infrastrutture, ma anche tutte le tecnologie ed i servizi collegati. Questa è la potenzialità con cui potremmo affacciarci sul mercato internazionale: ci sono Paesi emergenti, anche con grandi capacità di spesa, che hanno necessità di produrre, ma a cui mancano know how e tecnologie per farlo in efficienza. Esportare il sistema delle filiere può permettere alle nostre aziende aprirsi nuovi spazi di mercato”.

Per quanto riguarda il mercato interno, invece, cosa bisogna attendersi?

“Al momento, la situazione è abbastanza tranquilla, perché il costo delle materie prime è piuttosto contenuto. Per fare una corretta analisi della situazione, infatti, oltre ai prezzi, occorre osservare anche quali sono i costi di produzione. Ad oggi, la filiera avicola è orientata prevalentemente al mercato interno, ma non bisogna trascurare mai quello che succede attorno a noi. Infatti, circa il 55% dei costi dell’allevamento avicola è legato alla mangimistica che, per quasi il 50% del totale, viene importata dall’estero. Bastano piccole fluttuazioni dei prezzi delle materie prime nelle borse internazionali, per incidere sui prezzi finali. Fluttuazioni che si ripercuotono integralmente sulle aziende, in quanto la programmazione dei prezzi e degli sconti operata dalla GDO è effettuata ad inizio anno a tavolino, senza tenere conto di tali variabili. Anche in questo senso, la creazione di tavoli comuni e di un maggiore concerto di tali politiche commerciali è auspicabile allo scopo di minimizzare l’impatto di eventuali ed improvvise variazioni dei prezzi o dei consumi”.


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