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Negli ultimi anni in tutta Europa si è manifestato il problema improrogabile per la tutela dell’ambiente dall’effetto inquinante prodotto dal settore agro-zootecnico; in particolare, preoccupa il destino dell’azoto presente negli effluenti di stalla e utilizzati per la fertilizzazione dei terreni agricoli. Tale problema è molto sentito nelle aree con elevate densità di allevamenti, in particolare, nei principali poli zootecnici della pianura padana, dove è necessario riequilibrare il rapporto tra carico di bestiame e terreno disponibile per lo spandimento dei liquami.
Infatti, l’impatto negativo degli effluenti zootecnici deriva non solo dalle loro caratteristiche intrinseche, quanto da poco razionali modalità di gestione, di trattamento e di impiego finale, spesso non integrato in un sistema complessivo territoriale. A tal proposito, l’applicazione di distinte tecniche di trattamento degli effluenti nelle singole aziende zootecniche (separazione solido-liquida, aerazione, digestione anaerobica, compostaggio, ecc.) e la gestione successiva delle frazioni risultanti in modo consortile a livello territoriale, potrebbe rappresentare una strategia utile per garantirne sia l’impiego agronomico in azienda, sia la valorizzazione come fertilizzanti organici all’esterno dell’area di produzione, sia, infine, la trasformazione degli stessi in energia in impianti di co-generazione elettrica e termica.
A livello territoriale, soprattutto, si è giunti in diverse aree della pianura padana ad una situazione critica in cui si sono concentrati un numero elevato di allevamenti e di capi in aree con scarsità di terreni agricoli sufficienti per recepire gli effluenti prodotti, per cui non è più possibile tecnicamente ed economicamente gestire in modo razionale gli effluenti, per dare risposta alle nuove normative di riferimento relative al corretto spandimento degli effluenti zootecnici.
Il recepimento finale della cosiddetta “Direttiva Nitrati” (Dir. 91/676/CEE) nelle regioni italiane ha definito le zone vulnerabili e non (ZVN e ZNVN) ed i limiti di spandimento per unità di superficie: 170 kg/ha di azoto all’anno nelle zone vulnerabili (la maggior parte nelle aree dove sono concentrati gli allevamenti) e 340 kg/ha di azoto nelle zone non vulnerabili.
Osservate tali complesse questioni, è importante valutare le opportunità di sviluppo per l’imprenditore zootecnico di impianti per la produzione di biogas al fine di valorizzare i sottoprodotti organici e, quindi, gli effluenti zootecnici di stalla.
E’ importante ricordare nello specifico che la convenienza economica di un impianto biogas non deve essere valutata singolarmente, ma l’eventuale reddito ottenuto è complementare alla tradizionale attività dell’impresa zootecnica: a tal fine, per il futuro non è strategico indicare la redditività di una sola fase che caratterizza una filiera zootecnica, ma verificare se i processi produttivi (ad esempio, carne/latte, trattamento degli effluenti, produzione energetica, rimozione dell’azoto, utilizzo agronomico del digestato, ecc.) si integrano per determinare un vero e proprio reddito integrativo e non sostitutivo.