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A oltre un decennio dall’introduzione del sistema di tassazione catastale per le società agricole diverse dalle società semplici, è forse il caso di analizzare le questioni aperte. Quando il legislatore ha scelto di equiparare sul piano fiscale le società operanti in agricoltura con l’imprenditore agricolo individuale, è sembrato ai più che la spinta propulsiva all’innovazione del settore impressa dalla riforma introdotta con la legge di orientamento, avesse toccato un punto decisivo. Eppure, una più attenta analisi evidenzia come tale equiparazione sia realizzata solo in parte (si pensi al diverso trattamento delle attività connesse); così come i problemi attuativi inevitabilmente posti dalla trasposizione di regole fondiarie in un contesto di redditi d’impresa, non abbiano trovato adeguato supporto nelle fonti interpretative ufficiali.
Gli anni a cavallo tra il 2001 e il 2004 hanno visto realizzarsi una vera e propria rivoluzione in campo agricolo. Con l’approvazione del D. Lgs. 99/2004, furono introdotte le società agricole che sembravano poter offrire agli imprenditori uno strumento fondamentale per la modernizzazione del settore: sembrava così prendere avvio un percorso in grado di condurre l’agricoltura al di fuori di quei canali tradizionali di associazionismo (cooperazione e consorzi, o al limite contratti associativi agrari) per sfruttare appieno tutte le potenzialità delle forme societarie, in particolare quella di convogliare finalmente nuovi capitali e concentrare gli investimenti. Pochi anni dopo, anche il legislatore fiscale fece la sua parte, introducendo a sua volta un’importante innovazione. La norma contenuta nell’art. 1, comma 1093, L. 27 dicembre 2006 n. 296 introdusse la possibilità di optare per la tassazione su base catastale ai sensi dell’art. 32 TUIR in favore delle società agricole così come definite dalla normativa. Fu una scelta coraggiosa, anche se non priva di ripensamenti, che mirava all’equiparazione tra i soggetti operanti in agricoltura sotto il profilo dell’imposizione diretta. Alla medesima attività, sia pure svolta da diversi soggetti, doveva essere riservato lo stesso trattamento fiscale. Si puntava a superare l’handicap di cui soffriva il settore agricolo, da sempre, caratterizzato dalla presenza di tipi societari che presupponevano la preesistente qualifica di imprenditore agricolo in capo al socio: in altri termini, società fra agricoltori, il cui prototipo era costituito dalla cooperativa agricola di trasformazione.

Oggi possiamo dire che le scelte fatte allora, non hanno portato ai risultati sperati.