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Con il termine agricoltura sociale si individua una pluralità di esperienze del tutto variegate1, tanto da integrare, nell’attività agricola, iniziative di carattere socio-sanitario, educativo, di formazione e inserimento lavorativo, di ricreazione, dirette, in particolare, a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione2. In questo contesto, il Legislatore - con la Legge 18 agosto 2015, n. 1413 - ha creato una nuova modalità di esercizio d’impresa in agricoltura, non più finalizzata esclusivamente al profitto, ma anche all’inclusione sociale e lavorativa di persone vulnerabili. Essa fornisce, inoltre, servizi alla popolazione e alle comunità locali, coinvolgendo differenti attori pubblici e/o privati, di volta in volta, interessati ad operare in specifici settori4.

Due figure giuridiche sono destinatarie di queste specifiche previsioni di legge: gli imprenditori di cui all’art. 2135 c.c., in forma singola o associata e le cooperative sociali.
Anche se non ve ne è necessità, ricordiamo che la prima categoria contempla chi esercita un’impresa di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e cioè attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, in cui il fondo, il bosco o le acque sono elemento strumentale determinante. A questo elenco si aggiunge colui che esercita attività agricole connesse, ovvero attività strumentali e complementari svolte parallelamente e funzionalmente all’attività principale di produzione dei prodotti agricoli, in modo da costituirne la naturale integrazione.