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La Rivista | nº 05 Maggio 2022


La Cassazione si contraddice sull’attribuzione della qualifica di IAP alle società agricole

di Vanni Fusconi, avvocato
e Soraya Oletto, dottoressa in Economia e Commercio

Attribuzione della qualifica di IAP alle società agricole: una delle questioni più dibattute è quella relativa alla possibilità, da parte di un soggetto IAP, di attribuire la qualifica ad una o più società. La norma di riferimento è l’art. 1 del D.Lgs. 99/2004, il quale, al comma 3, stabilisce che possono essere considerate come società agricole IAP quelle che, oltre ad avere uno Statuto che prevede l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’art. 2135 c.c. e l’indicazione nella denominazione/ragione sociale della dicitura “società agricola”, hanno:

  • almeno un socio in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale nel caso di società di persone (per le società in accomandita, la qualifica si riferisce ai soci accomandatari);
  • almeno un amministratore (che sia anche socio per le società cooperative) in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale nel caso di società di capitali o cooperative.

Il successivo comma 3-bis precisa che “la qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata da parte dell’amministratore ad una sola società”.

Per la sua formulazione, negli anni alcuni si sono interrogati sul fatto che la limitazione di cui al comma 3-bis faccia riferimento a tutte le società o solamente alle società cooperative e di capitali e ciò ha causato un continuo ribaltamento di posizioni circa la possibilità, per un soggetto, di attribuire la qualifica di IAP a più società di persone.

Da ultimo, la disposizione è stata esaminata da due Sentenze della Corte di Cassazione (Ordinanze n. 2642 del 5 febbraio 2020 e n. 8430 del 30 aprile 2020) diametralmente opposte: una ritiene che detto comma 3-bis sia di portata generale e riguardi sia le società di persone, sia quelle di capitali; l’altra ne esclude l’applicabilità anche alle società di persone.

L’Ordinanza n. 2642/2020

L’Ordinanza n. 2642 del 2020, ha statuito che “al limite di cui al suddetto comma 3-bis deve essere attribuita una portata generale, nel senso che lo stesso deve trovare applicazione sia per le società di persone, che per quelle di capitali”.

Tale principio è giustificato dai Giudici di legittimità sulla scorta delle seguenti osservazioni:

  • l’art. 1, comma 3-bis non limiterebbe espressamente il proprio ambito di applicazione alle sole società di capitali;
  • la ratio antiabusiva della previsione del comma 3-bis sussiste egualmente per le società di capitali e di persone;
  • la Legge pone un espresso divieto di cumulo al fine di accentuare quel collegamento diretto tra la persona-fisica amministratore e l’oggetto sociale e garantire effettività ai vincoli di tempo-lavoro e reddito.

Per questi motivi, l’imprenditore agricolo professionale potrebbe apportare la sua qualifica, come amministratore e/o socio, solo ad una società, sia essa di persone che di capitali.

L’Ordinanza n. 8430/2020

Di segno opposto è, invece, l’Ordinanza n. 8430/2020, che ha stabilito il seguente principio: “la limitazione di cui all’art. 1, comma 3-bis (…) può valere solo per le società di capitali e non per quelle di persone” poiché il Legislatore non ha operato, nella norma in questione, un espresso riferimento a queste ultime tipologie di società.

La Corte, in questo caso, ha rilevato che tale conclusione sarebbe conforme alla ratio del comma 3-bis. Quest’ultimo intenderebbe evitare il fenomeno abusivo del c.d. IAP itinerante, ossia lo IAP che attribuisce la sua qualifica ad una moltitudine di società solo per far sì che le stesse possano usufruire delle agevolazioni fiscali loro riservate.

Secondo i Giudici, tale fenomeno abusivo non potrebbe verificarsi nel caso delle società di persone; infatti, “la relativa disciplina prevede, al riguardo, che la persona fisica IAP acquisisca la qualifica di socio responsabile personalmente e solidalmente delle obbligazioni sociali”. Secondo la Sentenza in commento il rischio della responsabilità solidale ed illimitata del socio, per le obbligazioni sociali della società, costituirebbe l’ostacolo al fenomeno dello IAP itinerante per le società di persone e, conseguentemente, giustificherebbe il fatto che il Legislatore avrebbe previsto la preclusione di cui al comma 3-bis unicamente per gli amministratori di società di capitali.

Gli orientamenti di prassi

Prima di procedere con il commento delle due Sentenze, occorre sottolineare che vi sono numerosi pronunciamenti e documenti di prassi che hanno sposato l’interpretazione della Sentenza n. 8430/2020.

Infatti, la tesi che il comma 3-bis non vada applicato alle società di persone era stata già avanzata anche dal Consiglio Nazionale del Notariato sia con lo Studio 67/2005/T sia con la risposta a quesito n. 17-2006/T.

Il CNN ha evidenziato che la diversità di trattamento tra società di persone ed altre società sembra trovare fondamento nella “maggior vincolatività della posizione di socio rispetto a quella di amministratore, maggior vincolatività che è capace di colorare in modo significativo il ruolo partecipativo, facendo da remora naturale all’assunzione di una serie indeterminata di posizioni simili e di mero comodo in diverse società. Infatti, le società di persone che vogliano “disfarsi” di un socio di comodo incontrano ostacoli diversi rispetto a quelli che, per un amministratore di comodo, deve affrontare una Spa (potendo revocare l’incarico a piacimento, salvo l’obbligo di indennizzo in assenza di giusta causa, ex art. 2456 c.c.) o una Srl (per la quale la revoca dell’amministratore non richiede giusta causa, non esistendo nel suo ordinamento una regola analoga all’art. 2456 c.c.) o una cooperativa (che segue l’una o l’altra regola, a seconda della “scelta” per l’uno o l’altro ordinamento, ex art. 2519 c.c.)”.

Sul tema si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale, che con una risposta all’Interpello n. 909-216/2006, ha affermato che “il limite posto nell’articolo 1, comma 3-bis, D.Lgs. n. 99 del 29 marzo 2004, riguardasse esclusivamente la qualifica di IAP e le sole società di capitali”.

A sua volta, il Ministero delle Politiche Agricole, sollecitato recentemente da apposita istanza della Regione Emilia Romagna, ha esposto il suo parere con Nota prot. 3064 del 25 maggio 2018, ritenendo che il menzionato comma 3-bis si riferisca soltanto alle società di capitali e non alle società di persone.

Successivamente, la stessa Agenzia delle Entrate, recependo l’orientamento sin ora esposto, ha affermato, con la Consulenza giuridica n. 956-11/2018, quanto segue: “può agevolmente sostenersi che la previsione normativa - che impone che la qualifica di IAP possa essere apportata nelle società di persone esclusivamente da un socio, che assuma il rischio di una sua responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali - costituisca una circostanza idonea ad arginare il fenomeno degli IAP itineranti nelle società di persone. Alla luce delle suesposte considerazioni, quindi, si può ritenere che, inserendo nell’ordinamento il comma 3-bis del D.Lgs. n. 99 del 2004 il Legislatore abbia correttamente inteso contrastare il fenomeno del c.d. IAP itinerante limitando lo sfruttamento e l’utilizzo “abusivo” delle società di capitali da parte di un unico amministratore IAP”.

Alla luce di tutti questi pronunciamenti è evidente, quindi, che la Sentenza n. 2642 della Corte di Cassazione rimane l’unica voce fuori dal coro, smentita, tra l’altro, dal pronunciamento successivo (sentenza n. 8430) proveniente, tra l’altro, dalla medesima sezione V con Consiglieri presenti in entrambi i Collegi.

Le società IAP

Stando a quanto stabilisce il Legislatore, per potersi dire “agricola”, la società, oltre ad avere quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole ed indicare nella propria denominazione/ragione sociale la dicitura “società agricola”, deve rispettare i seguenti requisiti:

  • se è una società di persone, deve avere almeno un socio in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale, iscritto nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale (nelle società in accomandita semplice si deve trattare di un accomandatario);
  • se è una società di capitali o cooperativa, deve avere almeno un amministratore in possesso della qualifica di IAP (che sia anche socio per le società cooperative), iscritto nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale; pertanto, chiunque può essere socio di queste società di capitali, anche se si tratta di un soggetto “non agricoltore” (ad eccezione del socio qualificante di società cooperativa).

Pertanto, volendo riassumere i principi sopra espressi:

  • nelle società di persone, è lo status di socio illimitatamente responsabile, con qualifica di IAP, a determinare la qualifica della società;
  • nelle società di capitali, non è richiesto lo status di socio dello IAP poiché la qualifica viene attribuita solo dal soggetto amministratore.

Occorre precisare che l’originaria formulazione della disposizione di cui al D.Lgs. 99/2001, art. 1, a confronto con quella attuale, fa emergere che l’introduzione del comma 3-bis nasce con lo scopo, da parte del legislatore, di evitare il c.d. fenomeno dello “IAP itinerante”.

Tale fenomeno abusivo consiste nella possibilità che un soggetto IAP presti la sua qualifica a più società, pur in assenza di un effettivo apporto gestionale/amministrativo, consentendo alle stesse di acquisire lo status di IAP e di usufruire, quindi, delle agevolazioni previste.

È chiaro, però, che l’assenza della gestione diretta delle società a cui si presta la qualifica non è ragionevolmente ipotizzabile nel caso in cui il socio sia illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni sociali di tale società. È proprio per questo motivo, quindi, che i rischi legati alla responsabilità illimitata e solidale che hanno i soci nelle società di persone costituirebbe un grande ostacolo al fenomeno abusivo dello “IAP itinerante”.

Vi è da dire anche che, nel comma 3-bis, è espressamente richiesta la posizione di “amministratore” per il soggetto qualificante ed è per questo motivo che riteniamo che la regola introdotta vada applicata soltanto per le società di capitali e per le cooperative, in quanto nelle altre società può bastare la presenza di un socio IAP. Di fatto:

  • nelle società di persone (società semplici, Snc, Sas), secondo la disciplina del Codice Civile, ogni socio è amministratore della società (art. 2257 c.c.), salvo patto contrario;
  • per quanto riguarda le società di capitali, invece, l’amministrazione non è un requisito automatico; infatti, l’impresa non può definirsi appartenente ai soci, ma alla complessa organizzazione in cui si articola la società stessa (organi sociali).

Considerando che la qualifica di IAP delle società di persone trova la propria giustificazione non nella funzione amministrativa svolta dal socio, ma nella partecipazione attiva alla società, ne consegue che il comma 3-bis, che è incentrato sulla figura qualificante di amministratore, non possa trovare applicazione riguardo alle società di persone.

Nonostante numerosi documenti di prassi e alcune sentenze dei Giudici di legittimità, ancora pare che non sia stata normalizzata una situazione che, in questi anni, ha inciso fortemente sull’attività di molti imprenditori che si sono visti precludere la possibilità di accedere ad incentivi o agevolazioni, oppure che, per non perderli, hanno dovuto rivedere e adattare il proprio assetto societario.

Per questo motivo, considerata la delicatezza dell’argomento, si auspica un intervento chiarificatore da parte del Legislatore.

 


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