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Dopo un anno che il virus imperversa in quasi tutto il mondo, l’Organizzazione Mondiale della sanità animale (ed umana) richiama i veterinari di ogni Nazione alla sorveglianza precoce ed attiva sugli uccelli selvatici, per monitorare anche le specie animali non avicole potenzialmente infettabili. Intanto in America il virus ha già colpito i bovini e due addetti, mentre rimane sempre la minaccia che il virus si trasmetta sistematicamente all’uomo e scateni una seria pandemia.
Siamo alle porte dell’estate ma l’Influenza Aviaria (IA) è ancora attiva e si prevedono scenari peggiori all’inizio dell’autunno. Siamo anche lontani dalla tipica stagione fredda ma la malattia resta una minaccia, tanto da essere ormai definita una malattia planetaria[1]. Per prepararci, prima dell’autunno, all’inevitabile e spesso massiccio ingresso del virus H5N1 nei selvatici e negli allevamenti, vale la pena di tratteggiare il quadro della situazione attuale.
In America il virus è stato in grado di infettare delle bovine da latte di alcune decine di allevamenti, trasferendosi poi anche a due operai addetti alla mungitura. Questa “mossa” virale, ampliando logicamente il rischio di trasmissione all’uomo, è un segnale di allargamento della sfera del contagio, con le inevitabili preoccupazioni degli esperti che temono ricadute sulla salute delle persone, sulle loro movimentazioni, sui rapporti con altri Paesi e le conseguenziali restrizioni delle aree e dei mercati.