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Nell’ambito della legislazione vitivinicola, la tematica delle superfici rivendicabili, ossia l’idoneità alla rivendicazione per la produzione di vini a denominazione di origine contingentati[1], quali beni “immateriali”, è stata più volte ripresa dalla giurisprudenza di legittimità, nonché dai giudici amministrativi, i cui arresti sono addivenuti all’ormai principio consolidato secondo cui la superficie rivendicabile deve ritenersi un bene distinto dalla superficie vitata.
Al riguardo, di recente, il TAR Toscana, con la Sentenza 18 luglio 2025, n. 1404, seppur obiter dictum all’interno di una decisione relativa ai profili di declassamento di vino di qualità, ha avuto modo di ritornare su tale distinzione, che si inserisce nell’ambito del moderno processo di qualificazione e patrimonializzazione dei beni immateriali[2], in aderenza ai più recenti sviluppi sul concetto di “bene”.
Prendendo le mosse dalla sentenza in esame, il caso posto all’attenzione dei giudici amministrativi di Firenze ha avuto origine da una vicenda risalente al 2004, quando una società agricola, nella sua qualità di affittuaria, (“Società Affittuaria”) stipulava con terzi soggetti proprietari (“Proprietari”) un contratto di affitto avente ad oggetto, tra l’altro, un compendio costituito da terreni agricoli e superfici vitate (“Compendio”). Qualche anno dopo, più precisamente nel 2010, il Compendio è stato oggetto di una procedura esecutiva conclusasi con decreto di trasferimento del Tribunale competente, trasferimento avente ad oggetto unicamente le superfici vitate, quali beni immobili in proprietà delle persone fisiche esecutate, a vantaggio di una terza società agricola, che ha acquistato il Compendio all’asta giudiziaria.