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Ai fini IMU, un'area deve considerarsi fabbricabile qualora utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo.
Tale definizione, precedentemente già prevista dalla disciplina IVA, è stata espressamente richiamata anche dall’attuale art. 1, comma 741, Legge n. 160/2019 in materia di IMU.
Non è quindi necessario che un’area sia anche di fatto edificabile affinché debba sottostare al tributo comunale, ma al fine della determinazione del valore della stessa non si può non tener conto dei vincoli edificatori, nonché del fatto che manchino ancora gli strumenti attuativi.
A differenza degli altri immobili assoggettati a IMU, per i quali, in genere, la base imponibile si determina a partire dai valori rilevabili dalla visura castale, per le aree edificabili occorre prendere a riferimento il valore venale in Comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione, o a far data dall'adozione degli strumenti urbanistici.
Tale valore dipende dalla zona territoriale di ubicazione, dall'indice di edificabilità, dalla destinazione d'uso consentita nonché dagli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione.
Trattandosi di un valore che è anche particolarmente condizionato dal mercato, ai fini della stima è possibile basarsi sui prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
I Comuni, al fine di orientare i cittadini nella determinazione del valore venale delle aree edificabili, possono approvare, con apposita delibera di giunta, i valori di riferimento ai fini IMU di tali aree. I valori deliberati, non sono vincolanti per i cittadini, ma costituiscono presunzioni semplici superabili con “prova contraria”.
Sul tema la Corte di Giustizia Tributaria di Taranto, nella Sentenza n. 1500/2022, pubblicata il 6 dicembre scorso, ha affrontato il caso di una considerevole divergenza tra il valore di riferimento stabilito dal Comune e quello applicato dal contribuente.
Quest’ultimo, infatti, nel definire il valore dell’area aveva tenuto conto dei “vincoli esistenti e dei tempi di attuazione di qualsiasi intervento edilizio nella zona, considerata la perdurante mancanza di strumenti attuativi e lo stato di depressione del mercato immobiliare nell’intera Provincia”, cosicché il valore dichiarato dal contribuente non rappresentava nemmeno un decimo di quello calcolato dal Comune.
Al fine di dirimere la questione, la Corte ha affidato l’incarico ad un perito chiamato a definire l’equo valore di mercato. Il perito non ha potuto non tener conto anche di quegli elementi che vincolavano l’effettiva edificabilità dell’area, non essendo ancora stati approvati gli strumenti attuativi, ed ha definito un valore, seppur superiore a quello dichiarato dal contribuente, nettamente inferiore a quello fissato dal Comune.
Tale valore, non contestato da alcuna delle parti, è stato preso a riferimento per dirimere la controversia. La Corte ha quindi demandato al Comune il compito di “rielaborare l’esatto ammontare del tributo da imporre alla contribuente, oltre interessi come per legge ed esclusa ogni sanzione, stante il più che legittimo contenzioso provocato dall’iniziale accertamento per un valore ben superiore a quello qui determinato”.