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Un Fisco equo è tale anche in ragione della certezza circa la sua esatta applicazione. Solo in questo caso il contribuente può consapevolmente applicare la corretta disciplina fiscale. Quando, invece, le “regole del gioco” non sono perfettamente chiare, il contribuente diligentemente segue le interpretazioni dell’Amministrazione Finanziaria e, se rinvenibili, quelle della giurisprudenza. Ma, anche in tali ipotesi, le conseguenze che ne possono derivare non sono sempre quelle attese.
L’art. 67, TUIR, include tra i redditi diversi: “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.
Sulla tassazione dei fabbricati ceduti non tanto per la consistenza ed il valore degli stessi, bensì per il potenziale edificatorio da essi espresso, destinati quindi all’immediata demolizione e ricostruzione, l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, per anni, sembrava orientato alla loro equiparazione ad un’area edificabile.
In tal senso, con la Risoluzione n. 395/E/2008, l’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che la vendita a titolo oneroso di fabbricati ricadenti in un’area oggetto di un piano di recupero, approvato in via definitiva dal Comune, fosse riconducibile alla fattispecie della cessione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria di cui all’art. 67, comma 1, lett. b), TUIR, con conseguente tassabilità della plusvalenza a prescindere dal periodo di possesso del cespite. Secondo l’Agenzia delle Entrate, in questi casi l’oggetto della compravendita non è il fabbricato, in quanto privo di effettivo valore economico, ma l’area su cui lo stesso insiste. Tale principio è stato generalizzato dalla stessa Agenzia delle Entrate, riferendolo anche ad altre casistiche, tra le quali le cessioni dei c.d. fabbricati “da demolire”.
Tuttavia l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate non è stato condiviso della giurisprudenza, tanto che la stessa Amministrazione Finanziaria, con la Circolare n. 23/E/2020, ha dovuto dichiarare superate le precedenti indicazioni in merito, invitando i propri Uffici a sospendere il contenzioso in essere per questa fattispecie di cessioni.
La giurisprudenza aveva, infatti, un costante diverso orientamento circa la tassazione dei fabbricati da demolire. La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 4150/2014, aveva sostenuto che dato che sono imponibili nella categoria dei redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di “terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”, non possono rientrare tra le stesse le cessioni di terreni sui quali si erge un fabbricato, quindi da ritenersi già edificati.
Successivamente, con la Sentenza n. 5088 del 21 febbraio 2019, i Giudici di legittimità enunciavano i seguenti principi di diritto:
In particolare, dopo tale ultima sentenza, l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 23/E/2020, ha definitivamente preso atto dell’interpretazione dei Giudici di legittimità, stabilendo che: “se su un’area insiste un qualsivoglia fabbricato, la stessa area deve dirsi già edificata e non può essere ricondotta alla previsione di area «suscettibile di utilizzazione edificatoria» di cui all’articolo 67 del TUIR, atteso che la potenzialità edificatoria si è già consumata”.
Dal 2001 è stata introdotta la possibilità di rivalutare il valore dei terreni agricoli, delle aree edificabili ed il valore delle partecipazioni, al fine di contenere o annullare le possibili plusvalenze derivanti dalla cessione di tali beni.
Pertanto, anche coloro che avevano in previsione la vendita di un fabbricato da demolire (a cura e spese dell’acquirente), in virtù degli orientamenti dell’Amministrazione Finanziaria, in molti casi hanno ritenuto vantaggioso provvedere alla rivalutazione del valore dell’area di sedime del fabbricato e di quella pertinenziale allo stesso, pagando l’imposta sull’intero valore derivante dall’apposita perizia richiesta dalla norma (Legge n. 448/2001, prorogata di anno in anno fino ad oggi).
La loro valutazione si fondava però sulla errata indicazione fornita dall’Agenzia delle Entrate in relazione alla tassazione di tali cessioni considerate al pari di quelle relative ad aree edificabili e, pertanto, potenzialmente (sempre) generatrici di plusvalenze in quanto, ai sensi dell’art. 68, TUIR, il reddito da portare a tassazione avrebbe dovuto essere determinato dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto (o il costo sostenuto dal donante in caso di bene ricevuto in donazione), aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
Tuttavia, con la revisione dell’orientamento fornito successivamente dalla giurisprudenza in relazione all’inquadramento del reddito derivante dalla cessione di fabbricati da demolire (non considerati più come cessione di aree edificabili ma come cessione di fabbricati), le rivalutazioni operate e le imposte sostitutive versate si sono rese, di fatto, inutili ai fini della sterilizzazione delle eventuali plusvalenze. Inoltre, in molti casi gli immobili oggetto di possibile cessione risultavano posseduti da oltre cinque anni e, pertanto, non in grado di produrre alcuna plusvalenza ai sensi del citato art. 67, TUIR.
Alcuni contribuenti hanno quindi tentato di chiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva versata per affrancare il valore dell’area, ma la giurisprudenza non ha ammesso tale facoltà.
Recentemente la Corte di giustizia di secondo grado della Regione Toscana (Sentenza n. 267/2023) ha infatti rigettato le richieste di un contribuente che chiedeva il rimborso dell’imposta sostitutiva (pari ad oltre 18.000 euro), adducendo di essere stato tratto in errore dalle indicazioni fornite dell’Agenzia delle Entrate, dalla stessa poi ritrattate.
La Corte di giustizia ha motivato il rigetto dell’appello del contribuente richiamando la Sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 2321 del 31 gennaio 2020, nella quale veniva affermato che: "l'imposta sostitutiva prevista dall'art. 7 è un'imposta volontaria che trova causa necessaria e sufficiente in se stessa, ossia nella stessa scelta liberamente operata dal contribuente di accedere all'opzione offertagli dal legislatore, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull'imposta ordinaria altrimenti probabilmente dovuta sulla plusvalenza non affrancata. Conseguentemente è irrilevante, ai fini del perfezionamento del meccanismo agevolativo, la circostanza che il contribuente tragga concretamente vantaggio dalla propria scelta in quanto la successiva cessione potrebbe addirittura mancare, senza perciò consentire di richiedere il rimborso di quanto versato (Cassazione n. 29575 del 2018; Cassazione n. 19217 del 2017)".
Inoltre, in tema di irretrattabilità della dichiarazione di scienza e di irreversibilità dell'obbligazione conseguente, è stata richiamata l’Ordinanza n. 4659/2020, con cui la Cassazione ha sancito che: “nel caso di opzione per la rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili a norma dell'art. 7 della L. n. 448 del 2001, una volta soddisfatte le condizioni previste da tale disposizione (redazione della perizia giurata di stima e versamento dell'intera imposta sostitutiva o, in caso di pagamento rateale, della prima rata), si determina l'irreversibile perfezionamento dell'obbligazione tributaria, per cui il contribuente non può più ottenere il rimborso delle somme corrisposte, sia che abbia scelto di avvalersi del pagamento in unica soluzione sia che abbia scelto di avvalersi di quello rateale".