La filiera zootecnica negli ultimi trent’anni ha visto crescere in maniera esponenziale la diffusione dei contratti di soccida, tanto che, attualmente, in quasi ogni settore dell’allevamento questa forma contrattuale rappresenta quella maggiormente diffusa.
Se, in un primo tempo, le ragioni che spingevano il piccolo allevatore a svolgere l’attività di allevamento tramite un contratto di soccida derivavano dalla necessità di beneficiare del maggior potere contrattuale del soccidante, in genere rappresentato da un’impresa di maggiori dimensioni, per avere delle economie nell’acquisto dei fattori produttivi (animali e mangimi), un supporto anche di tipo “consulenziale” sulla gestione dell’allevamento e soprattutto un diverso approccio al mercato, oggi, anche grandi allevamenti altamente specializzati sono comunque gestiti tramite contratti di soccida.
Ricordiamo che tale contratto, ai sensi dell’art. 2170 del Codice Civile, prevede che ”il soccidante ed il soccidario si associno per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartirne l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti che ne derivano”.
Anche se il Codice Civile prevede diverse tipologie di contratti di soccida, quella più diffusa è la soccida semplice. Tale contratto prevede che il soccidante conferisca gli animali necessari per l’attività di allevamento ed i mangimi. Dal canto suo, il soccidario mette a disposizione la struttura, le attrezzature, necessarie all’allevamento e presta la propria opera per il governo degli animali e le attività necessarie per l’esercizio dell’attività di allevamento.
A fine ciclo, il soccidante ed il soccidario si ripartiscono gli accrescimenti di bestiame, dei prodotti e gli utili derivanti dall’attività svolta.
Nei contratti di soccida aventi ad oggetto l’ingrasso o la riproduzione degli animali, al soccidario, in base agli accordi presi tra le parti, vengono attribuiti, a fine ciclo, un numero di capi corrispondente agli accrescimenti da lui maturati. Tuttavia, quando l’accordo lo prevede, il soccidario può ottenere la monetizzazione degli animali a lui spettanti. Le parti optano per la monetizzazione, in quanto è ammesso che la commercializzazione del bestiame possa essere effettuata esclusivamente dal soccidante. In tal caso, il riconoscimento della quota degli accrescimenti al soccidario avviene con la monetizzazione degli utili che gli competono.
L’autonomia imprenditoriale del soccidario
Il contratto di soccida ha natura associativa, sia il soccidante che il soccidario svolgono un’attività d’impresa; conseguentemente, sono soggetti al rischio d’impresa e devono disporre di una sufficiente autonomia imprenditoriale.
Per quanto oggi gli standard qualitativi delle filiere, compresa quella zootecnica, richiedano rigidi protocolli nello svolgimento delle varie fasi della produzione e dell’allevamento, l’accordo tra le parti deve comunque consentire al soccidario di una certa autonomia nello svolgimento delle attività a lui affidate.
In sede di controllo, i verificatori valutano gli accordi contrattuali e la loro concreta applicazione, al fine di escludere la possibilità che il contratto possa essere diversamente riqualificato.
La detraibilità dell’IVA
La necessità di adeguare gli immobili e le attrezzature impiegate negli allevamenti ha indotto molti allevatori (soccidari) ad effettuare ingenti investimenti che, sovente, hanno reso opportuno optare per l’applicazione del regime IVA ordinario al fine di recuperare l’IVA.
In questi casi, agli allevatori è concesso portare a credito anche l’IVA assolta sui costi sostenuti per ristrutturare e ammodernare i propri impianti produttivi. In particolare, ai soccidari è richiesto che gli investimenti siano rivolti ad immobili, strutture, beni e, in generale, attività che producano massa imponibile soggetta ad IVA. Pertanto, i soccidari che intendono effettuare investimenti e recuperare l’IVA non possono porre in essere delle soccide ove gli accrescimenti siano monetizzati.
Infatti, a differenza della ripartizione fisica degli accrescimenti ove gli stessi pervengono pro-quota al soccidario, a titolo originario, e lo stesso provvede poi alla successiva cessione effettuando, pertanto, un’operazione soggetta ad IVA, con la monetizzazione, in base ad un consolidato orientamento, il soccidario “non effettua alcuna operazione attiva imponibile o ad essa assimilata che avrebbe legittimato da parte sua la detrazione d'imposta. Ne consegue che allo stesso non spetta la detrazione IVA sugli acquisti e, dunque, neanche il rimborso che l'Ufficio vorrebbe riconoscere” (cit. Interrogazione parlamentare 25 febbraio 2015 n. 5-04812).
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