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Secondo i Giudici di legittimità, la valutazione circa la natura dell’impresa, agricola o commerciale, deve basarsi su criteri valutativi che siano valevoli per l’intero territorio nazionale. Pertanto, l’analisi dell’attività svolta dovrà aver riguardo alla verifica dei requisiti stabiliti dall’art. 2135, Codice Civile, e dalla Legge n. 96/2006.
Questi sono i criteri che emergono dall’Ordinanza n. 4790/2023, con la quale la Corte di Cassazione è intervenuta in relazione all’applicazione della disciplina del fallimento ad un imprenditore agricolo che svolgeva anche un’attività agrituristica.
Un imprenditore agricolo, oltre all’attività agricola di coltivazione, svolgeva anche un’attività agrituristica, quest’ultima regolarmente autorizzata dalla Regione. Secondo il Tribunale, nel caso di specie poteva trovare applicazione la disciplina del fallimento in quanto l’attività agrituristica aveva acquisito carattere prevalente dato che i ricavi di tale attività, nel triennio precedente, risultavano superiori a quelli derivanti dall’attività agricola principale. Inoltre, secondo i Giudici di merito, il fabbricato utilizzato per l’esercizio dell’attività agrituristica aveva delle caratteristiche non compatibili con “il normale impiego ad uso agricolo”. Infine, anche il rapporto tempo/lavoro, che in base alla legge regionale rappresentava l’elemento chiave ai fini del giudizio di prevalenza, secondo la corte di merito, mostrava una prevalenza dell’attività agrituristica rispetto a quella agricola principale.
I Giudici di legittimità hanno invece sostenuto che, in base alla formulazione del terzo comma dell’art. 2135, Codice Civile, è previsto che: “Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla Legge”.
Pertanto, ai fini della verifica della connessione dell’attività agrituristica occorre verificare:
Circa il concetto di normalità, i Giudici hanno affermato che: “l’impiego nell’attività agricola “essenziale” dell’“attrezzatura” o della “risorsa” (poi destinata all’ospitalità) sia riflesso - affinché l’attività di servizio oggettivamente commerciale sia qualificabile come agricola “per connessione” - di una scelta che rispecchi le intrinseche oggettive caratteristiche “agricole” dell’“attrezzatura” o della “risorsa”.
L’art. 2, comma 1, Legge n. 96/2006, precisa che: “Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del Codice Civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali”.
Il successivo art. 4, comma 2, Legge n. 96/2006, precisa anche che: “Affinché l'organizzazione dell’attività agrituristica non abbia dimensioni tali da perdere i requisiti di connessione rispetto all’attività agricola, le Regioni e le Province autonome definiscono criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto alle attività agricole che devono rimanere prevalenti, [con particolare riferimento al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività][1]”.
I Giudici hanno precisato che in relazione all’indagine sulla natura, commerciale o agricola, di un’impresa agrituristica, ai fini della sua assoggettabilità al fallimento, ai sensi dell’art. 1, R.D. n. 267/1972, c.d. Legge fallimentare, la stessa: “va condotta sulla base di criteri uniformi valevoli per l’intero territorio nazionale, e non già sulla base di criteri valutativi evincibili dalle singole leggi regionali, che possono fungere solo da supporto interpretativo; l’apprezzamento, in concreto, della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche ed attività agricole, nonché della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, va condotto alla luce dell’art. 2135, comma 3, Codice Civile, integrato dalle previsioni della Legge 20 febbraio 2006, n. 96, sulla disciplina dell’agriturismo, tenuto conto che quest’ultima costituisce un’attività para-alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, onde la verifica della sua connessione con l’attività agricola non può esaurirsi nell’accertamento dell’utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo e va, piuttosto, compiuta avuto riguardo all’uso, nel suo esercizio, di dotazioni (quali i locali adibiti alla ricezione degli ospiti) e di ulteriori risorse (sia tecniche che umane) dell’azienda, che sono normalmente impiegate nell’attività agricola (cfr. Corte di Cassazione 10 aprile 2013, n. 8690; Corte di Cassazione 14 gennaio 2015, n. 490)”.
Pertanto, sia la comparazione tra i ricavi dell’attività agricola e quella agrituristica, sia il parametro tempo/lavoro (assunto dalla legge regionale come essenziale nel dimostrare la prevalenza dell’attività agricola e, pertanto, la connessione ed accessorietà di quella agrituristica), hanno una valenza solo concorrente ed integrativa (quindi, di per sé, non dirimente).
Richiamando i principi già espressi dalla stessa Corte (Corte di Cassazione Ordinanza n. 16614/2016), i Giudici di legittimità hanno ribadito che l'esonero dall'assoggettamento alla procedura fallimentare dell'imprenditore agricolo viene meno quando sia insussistente, di fatto, il collegamento funzionale con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all'art. 2135, Codice Civile, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura. L'apprezzamento concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività commerciali ed agricole e della prevalenza di queste ultime, da condurre alla luce dell'art. 2135, comma 3, Codice Civile, è rimesso al Giudice di merito, restando pertanto insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici.
Nel caso di specie, tra l’altro, la corte di merito non avrebbe proceduto ad una approfondita disamina logico - giuridica in grado di motivare il percorso argomentativo con cui si sosteneva la presenza di una rilevante sproporzione tra i ricavi dell’attività agrituristica rispetto a quelli dell’attività agricola.
Pertanto, i Giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’imprenditore agricolo.
[1] Attualmente il testo riportato in parentesi è stato soppresso per effetto dell’art. 68, comma 11, D.L. n. 73/2011, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 106/2021.