È convinzione di molti che il reddito da allevamento di animali sia sempre agricolo, cioè sia comunque tassato con il reddito agrario o, tutt’al più, con i parametri forfettari stabiliti dal Decreto Ministeriale 15 marzo 2019 (D.M.).
Tutto ciò è vero a condizione che l’allevatore:
- dimostri di aver tenuto correttamente le scritture contabili previste dalla Legge;
- abbia dichiarato il reddito da allevamento nel quadro RD del Modello Redditi (la nostra Circolare n. 525/2022 illustra come compilare il quadro RD).
In tema di imposte sui redditi, l'attività di allevamento del bestiame va distinto tra:
- reddito agrario, con riguardo al numero dei capi allevati con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno agricolo di cui l’allevatore dispone in base ad un valido titolo;
- reddito d’impresa per i capi eccedenti tale limite.
In altri termini, se la quantità dei terreni condotti, in relazione alle colture praticate, è sufficiente a fornire potenzialmente un quarto dei mangimi necessari all’alimentazione degli animali, gli utili ricavati dall’attività di allevamento non danno luogo a maggior reddito, ritenendosi tali utili compresi nel reddito agrario dei terreni medesimi.
Pertanto, non è indispensabile che i terreni forniscano effettivamente l’alimentazione, essendo sufficiente che essi siano in grado anche solo potenzialmente di farlo in parte.
Il numero dei capi allevabili in un determinato terreno dipende dalla specie di animali, dai cicli e dalle unità foraggere potenziali ricavabili dalla coltivazione, che variano da coltura a coltura e dalla classe catastale.
I parametri per stabilire la quantità di animali assorbita dal reddito agrario dei terreni sono stabiliti nel D.M. 15 marzo 2019.
Se, sulla base dei parametri, il numero dei capi allevati supera quello consentito, l’eccedenza è valorizzata con un sistema forfettario, la cui entità costituisce base imponibile aggiuntiva al reddito agrario (art. 56, comma 5, del TUIR). Occorre, tuttavia, considerare che questa eccedenza non è reddito agrario, bensì reddito d’impresa, vale a dire il reddito tipico delle attività commerciali.
Molti allevatori compiono un errore di valutazione nella stima dei capi fiscalmente allevabili. La ragione è generalmente imputabile al fatto che la conta fisica (o desunta dalle movimentazioni nella BDN) non corrisponde con i meccanismi stabiliti dal D.M. La certezza del superamento o meno del limite può essere fornita solo con la corretta tenuta del registro cronologico di carico e scarico.
Il registro cronologico è previsto quale scrittura obbligatoria dall’art. 18-bis del D.P.R. n. 600/1973. Le modalità di tenuta e compilazione di tale registro devono avvenire seguendo le istruzioni fornite con la Circolare 1° dicembre 1978, n. 150 e la successiva Risoluzione 29 maggio 1979, n. 9/601.
Ora, se è vero che la tenuta del registro cronologico diviene obbligatoria con il superamento dei limiti previsti dal citato Decreto Ministeriale, è altrettanto certo che senza la contabilizzazione dei movimenti nel registro non è possibile determinare il momento del superamento.
Il registro, per espressa previsione normativa, deve consentire la ricostruzione dei capi allevati nel corso di tutto il periodo di imposta e non solamente di quelli eccedentari, ragion per cui si ritiene che sia preferibile predisporlo fin dal 1° gennaio di ogni anno.
Va comunque ricordato che se le imprese agricole individuali e le società semplici possono attivare il registro al momento del superamento dei limiti (ricostruendo in ogni caso i movimenti dal 1° gennaio), le società diverse da quelle semplici ne hanno l’obbligo di tenuta anche se l’allevamento non è eccedentario (D.L. n. 90/1990).
L’allevatore deve ben riflettere sulle conseguenze della mancata attivazione del registro, o della sua predisposizione ma con indicazioni inesatte, tali da renderlo inattendibile.
Innanzitutto, è necessario che i dati di entrata, uscita nonché dei decessi ivi registrati trovino corrispondenza nelle movimentazioni della BND (se obbligatorie), anche se la corrispondenza fisica non equivale a quella fiscale. Un ulteriore riscontro sulla corretta tenuta del registro è la corrispondenza dei dati inserito con i documenti che accompagnano gli animali quando vi sono degli spostamenti (documenti fiscali e/o sanitari). Va tuttavia evidenziato che tali movimenti, ai fini del registro di carico e scarico, non esauriscono casistiche delle registrazioni previste; ad esempio, non possono fornire riscontro per un cambio di categoria o per il termine di un ciclo/stadio di allevamento che possono determinare una “cessione imponibile” ancorché l’animale non sia stato movimentato o ceduto a terzi. Inoltre, i movimenti bancari devono trovare riscontro in fatture regolarmente emesse o ricevute.
La corretta tenuta del registro fornisce la dimostrazione dell’esatta individuazione, ai fini fiscali, dei capi allevati e sulla natura ed entità del reddito dell’allevamento.
In giurisprudenza si è affermato il principio che “l’imprenditore ha l’obbligo – la cui inottemperanza determina l’inattendibilità della contabilità aziendale e pone a carico del contribuente l’onere di provare i fatti impeditivi o estintivi dell’accertamento effettuato dall’Ufficio – di tenere il registro di carico e scarico degli animali allevati, distintamente per specie e ciclo di allevamento, con l’indicazione degli incrementi e decrementi verificatisi per qualsiasi carico nel periodo d’imposta (Cass. n. 20575/2019; n. 34408/2019; n. 3487/2014)”.
In altri termini, se il registro di carico e scarico non è tenuto o è inattendibile, l’Agenzia delle Entrate è autorizzata a procedere all’accertamento induttivo, che consiste nella ricostruzione d’ufficio del reddito, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili. In sostanza, il reddito viene rideterminato sulla base dei ricavi presunti e dei costi certi e non sulla base del reddito agrario o con i più favorevoli parametri forfettari stabiliti dal Decreto Ministeriale.
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