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La prelazione agraria è fra i pochi istituti del diritto privato in grado di conciliare la primigenia impronta produttivistica del codice civile con la funzione sociale che la Costituzione repubblicana assegna alla proprietà privata. In vista dell’alienazione di un fondo rustico, la legge pone un preciso limite al potere di disposizione, altrimenti pieno ed esclusivo, del proprietario: a tutela del lavoro in agricoltura, è assegnato un diritto di prelazione al soggetto che, da almeno due anni, abbia formalmente1 operato su quel fondo in qualità di coltivatore diretto. Tale prerogativa, a partire dalla legge 14 agosto 1971, n. 817, è stata estesa al proprietario confinante, contemporaneamente in possesso della qualifica di coltivatore diretto. La prelazione spetta anche all’imprenditore agricolo professionale che sia proprietario di terreni confinanti con il fondo offerto in vendita2. Va ricordato, più in generale, che la riforma del 20043 ha esteso alle società agricole di persone tutte le prerogative che, fino a quel momento, erano vigenti per le sole persone fisiche (conduttrici o confinanti).
L’art. 8, comma 4, L. 26 maggio 1965, n. 590, modificato dalla L. 14 luglio 1971, n. 817, richiede al proprietario-alienante di «notificare con lettera raccomandata al coltivatore la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita». Secondo la lettura più accreditata di questa disposizione, la proposta di vendita (rivolta all’affittuario o al confinante) può ritenersi sottintesa nel mero atto di trasmissione del contratto preliminare (stipulato con il terzo). In altri termini, ai fini della produzione dell’effetto finale, non si avverte la necessità che il proprietario indirizzi all’affittuario (o al proprietario confinante) una proposta vera e propria.
La domanda, ancora più a monte, è se tale comunicazione (che prende il nome di denuntiatio) debba, in ogni caso, costituire il necessario punto d’avvio di un procedimento negoziale destinato a concludersi, in un senso o nell’altro, con una manifestazione di volontà del prelazionario. Se ci si fermasse alla lettera della norma, che richiede l’utilizzo addirittura della posta raccomandata, la risposta dovrebbe essere negativa. Ma andando alla ricerca della sua ratio, come è sempre d’uopo quando si interpreta la legge, si coglie che il fine perseguito dal legislatore in questo caso non è di imporre la formalizzazione in sé e per sé di una proposta, ma di assicurare che, per il tramite di mezzi idonei a rendere certa la data di trasmissione (raccomandata o, al giorno d’oggi, anche PEC), l’intenzione del proprietario-alienante sia efficacemente portata a conoscenza dell’altro.