tr?id=945082922274138&ev=PageView&noscript=1 Consiglio di Stato 22 aprile 2025 n. 3448 – Le pratiche (s)leali di informazione degli alimenti ai sensi del Regolamento (UE) n. 1169/2011 sono assoggettate alla disciplina sanzionatoria settoriale o generale ai sensi del Codice del Consumo?

Consiglio di Stato 22 aprile 2025 n. 3448 – Le pratiche (s)leali di informazione degli alimenti ai sensi del Regolamento (UE) n. 1169/2011 sono assoggettate alla disciplina sanzionatoria settoriale o generale ai sensi del Codice del Consumo? L’ultima parola spetta alla Corte di Giustizia UE

di Ludovica Elena Asia Colombo, avvocato(*)

La vicenda oggetto dell’ordinanza in epigrafe trae origine dall’instaurazione di una controversia avanti al T.A.R Lazio da parte di LIDL S.p.A. (“LIDL”), instaurata dalla ricorrente avverso il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) del 20 dicembre 2019, con cui quest’ultima ha disposto nei confronti della LIDL l’applicazione di una sanzione considerevole per avere posto in essere una pratica commerciale scorretta ingannevole ai sensi degli artt. 21 e 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (“Codice del Consumo”).

In particolare, il procedimento citato ha preso avvio dalla nota del 23 aprile 2019, con cui l’AGCM, ha contestato a LIDL di promuovere e di commercializzare le linee di pasta di semola di grano duro a marchio “Italiamo” e “Combino” mediante l’utilizzo di confezioni caratterizzate da elementi che avrebbero enfatizzato, più di quanto necessario, l’italianità del prodotto, a fronte della indicata provenienza “UE e non UE” del grano utilizzato per ottenere la semola. Con la stessa nota, l’Autorità ha altresì contestato alla ricorrente di promuovere una vendita online dei prodotti sopra indicati attraverso il sito internet dedicato, nella pagina in cui si riportava unicamente la fotografia della parte anteriore delle confezioni contestate e non anche la fotografia della parte in cui è precisato sia l’elenco degli ingredienti, sia l’indicazione della provenienza del grano. Secondo l’AGCM, tale condotta non consentirebbe al consumatore di comprendere, senza indurlo in errore, la effettiva provenienza del grano utilizzato per produrre la pasta in oggetto.

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