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La Cassazione ha fornito importanti Linee Guida per i soggetti passivi IVA in relazione alla conoscenza o conoscibilità, in capo a tali soggetti, dell’esistenza di una frode IVA.
La Sentenza n. 25891 del 5 settembre 2023 pronunciata dalla Cassazione ha ad oggetto l’impugnazione di una sentenza pronunciata dalla CTR Emilia-Romagna, in merito ad un avviso di accertamento notificato ad Alfa S.p.A., società specializzata nell'attività siderurgica.
In tale avviso di accertamento, l'Agenzia delle Entrate disconosceva, per l'anno di imposta 2008, la detrazione, in capo ad Alfa S.p.A., dell'IVA di cui ad una fattura, emessa da Beta S.r.l., in quanto relativa ad operazione soggettivamente inesistente.
Il tema delle fatture inesistenti è stato già affrontato dal punto di vista del soggetto attivo nelle circolari n. 185/2018 "Fatture false: cosa rischia l’impresa agricola?", n. 256/2016 "Niente detrazione IVA a chi simula la soccida" e nella domanda e risposta "Accertamento fatture inesistenti in capo a un produttore agricolo in regime speciale".
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTR Emilia-Romagna.
Secondo i Giudici di legittimità, la CTR ha addossato all'Ufficio oneri probatori che non gli competevano, in quanto - in presenza di un quadro oggettivamente compatibile con una frode IVA - sarebbe stato onere di Alfa (soggetto passivo) dimostrare di aver adottato, con la massima diligenza esigibile da un operatore professionale, tutte le necessarie cautele per evitare il suo coinvolgimento in un meccanismo fraudolento.
Secondo la Cassazione, la quale richiama a sua volta sue precedenti decisioni, l’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche solo in via indiziaria, che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l'onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica di oggettiva conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l'ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni compiute dagli altri soggetti coinvolti.
La Cassazione richiama la Sentenza n. 20587 del 26 ottobre 2018, secondo la quale, con riferimento al requisito di conoscenza o conoscibilità in capo al soggetto passivo dell'esistenza di una frode all'IVA, “[…] se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell'esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell'operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, […] ”.
In tale ottica, secondo la Cassazione, costituiscono elementi di rilevanza sintomatica dell'operazione soggettivamente fittizia:
Pertanto, in caso di contestazione dell’IVA detratta in corrispondenza di operazioni soggettivamente inesistenti, sarà onere del contribuente dimostrare la propria buona fede, ossia di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto - secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto (compresi gli “indizi” di cui al paragrafo precedente) - al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione.