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A volte ritornano… E così accade che la Corte di legittimità si occupi nuovamente della tassazione, ai fini dell’imposta di registro, delle servitù prediali così come avvenuto di recente (cfr. Cass. Ord. n. 22118 del 13 ottobre 2020). La disputa è sempre la stessa e riguarda l’aliquota da applicare nei casi in cui, come nella fattispecie (realizzazione di gasdotto), viene costituita una servitù su un terreno agricolo; più propriamente il dilemma, se così può definirsi, ricorrente concerne l’applicazione dell’aliquota appropriata: quella ridotta dell’8% ovvero quella maggiorata del 15%.
Un dilemma che, alla luce dell’attuale formulazione del D.P.R. n. 131/1986, art. 1, Tariffa, parte prima, sembra essere ormai definitivamente risolto, ma che viene rimesso in gioco tutte le volte che la Cassazione esamina controversie riguardanti atti posti in essere prima del 2014, risalenti cioè ad un periodo di tempo antecedente la revisione della normativa, operata dal D. Lgs. n. 23/2011, art. 10, comma 4.
Una regola su tutte, già acclarata, è quella che nella nozione di “trasferimento” non può rientrare la costituzione di servitù, così come accertato dalla Suprema Corte (cfr. Cass., Sent. n. 16495 del 4 novembre 2003).
Ma andiamo con ordine partendo dalle norme civilistiche in materia. La servitù prediale, come noto, è un diritto reale di godimento su cosa altrui e consiste, ai sensi dell’art. 1027 c.c., nel peso imposto sopra un fondo rustico (detto servente) per l’utilità di un altro fondo (detto dominante), appartenente ad altro proprietario.
Perché questo avvenga è, quindi, necessaria la presenza di due requisiti, quali:
L’esempio tipico è quello della c.d. servitù di passaggio, quando il proprietario del fondo servente consente (o meglio tollera) il transito su di esso da parte del titolare del fondo dominante, per l’espletamento della sua attività produttiva come anche il passaggio dei prodotti destinati al mercato.
Quanto poi al concetto di utilità (art. 1028 c.c.) questo è alquanto ampio e può consistere, tanto per citarne uno, nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante (cfr. Cass. Sent. n. 1522 del 6 marzo 1980); in tal senso è possibile costituire una servitù che abbia quale fine precipuo quello di impedire la edificazione o di elevare una costruzione sul fondo vicino per preservarne l’amenità del luogo per la presenza, ad esempio, di un parco o una riserva naturale (Cfr. Cass., Sent. n. 835 del febbraio 1980).
Ma “l’utilità” può riguardare anche un edificio da realizzare o un fondo da acquistare (art. 1029 c.c.). Consistendo nella relazione tra due fondi, non può nascere come diritto reale di godimento se non quando l’edificio sia costruito; prima della costruzione il rapporto ha natura obbligatoria (soggetto, quindi, alla prescrizione decennale) che è destinato poi a diventare una “servitù” (Cfr. Cass., Sent. n. 20462 del 11 ottobre 2016).
Occorre, tuttavia, sottolineare che il concetto di utilità non opera in termini assoluti poiché ha comunque dei limiti, il primo dei quali è quello di soddisfare un bisogno durevole, non occasionale, e come secondo limite quello che deve evincersi in modo diretto e oggettivo dalla sostanza e dalla finalità del fondo dominante. Più propriamente:
Essendo un diritto reale di godimento ha tutti i caratteri essenziali della “realità”, a cominciare dal dato qualificante della cosiddetta inerenza, che consiste nel rendere “inseparabile” il diritto di servitù dalla proprietà del fondo dominante.
Il principio della inseparabilità della servitù dal fondo dominante comporta, a sua volta, una serie di regole consequenziali per cui:
Inevitabilmente, la costituzione del diritto di servitù su terreni agricoli implica riflessi fiscali. L’Amministrazione Finanziaria, ad esempio, si è occupata di questo diritto allorquando ha chiarito che i corrispettivi percepiti dal proprietario di un fondo rustico per una servitù di passaggio costituita volontariamente, ai fini dello sfruttamento del suo terreno da parte di terzi, sono imponibili ai fini IRPEF per cui danno luogo a delle plusvalenze. In sostanza, la costituzione volontaria di servitù è stata assimilata alle cessioni a titolo oneroso (Agenzia delle Entrate, Ris. n. 379/E del 10 ottobre 2008).
Il chiarimento era inerente ad un quesito posto da una società di trattamento e stoccaggio di rifiuti che intendeva realizzare un impianto su un terreno che non aveva un accesso alla pubblica via, per cui aveva chiesto la possibilità di transito su un fondo attiguo a quello in cui sarebbe stato realizzato l’impianto.
Il proprietario del terreno confinante, a seguito della richiesta, intendeva costituire con un atto pubblico una servitù di passaggio volontaria di dieci anni sul proprio fondo, previa corresponsione, da parte della società, di una indennità da versarsi in dieci rate annuali.
Per l’Agenzia, la fattispecie aveva insiti i requisiti per essere assimilata alla cessione a titolo oneroso di beni immobili disciplinata dall’art. 67, comma 1, lett. b), primo periodo, del D.P.R. n. 917 del 1986.
Ma il tema che ricorre costantemente, come già accennato, è quello attinente la tassazione, ai fini dell’imposta di registro, delle servitù prediali.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate si è espressa, in un primo momento, chiarendo che agli atti costitutivi di servitù si applicava l’aliquota proporzionale del 15%. Questo perché il primo periodo del comma 1, dell’art. 1, Tariffa, parte prima, del D.P.R. n. 131/1986 (secondo le disposizioni vigenti all’epoca) stabiliva espressamente l’obbligo della registrazione in termine fisso per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi.
Poiché nei successivi periodi la citata disposizione precisava le modalità di tassazione di ogni singolo trasferimento, era evidente che dovevano intendersi ricompresi in tale termine anche gli atti costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, in quanto espressamente indicati nel primo periodo del comma in esame (Ministero delle Finanze, Ris. n. 92 del 22 giugno 2002).
In sostanza, la norma prevedeva diverse tipologie di imposizione fiscale in relazione al trasferimento con applicazione di aliquote diverse per cui anche gli atti costitutivi di diritti reali immobiliari seguivano la stessa sorte. In particolare, per i trasferimenti di “terreni agricoli” era prevista l’aliquota del 15% da cui conseguiva che anche gli atti costitutivi di servitù su terreni agricoli erano soggetti alla stessa aliquota.
Ma questa aliquota era, in realtà, applicata per i trasferimenti di terreni agricoli a favore di soggetti non qualificati come coltivatori diretti o Imprenditori Agricoli Professionali (IAP). Successivamente, l’Agenzia ha cambiato atteggiamento sottolineando che gli atti a titolo oneroso costitutivi di servitù su terreni, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria in misura proporzionale (aliquote dell’8 o 15%), come risulta, rispettivamente, dal D.P.R. n. 131/ 1986, art. 1 della Tariffa, parte Prima, dal D.Lgs. n. 347/1990, art. 1 (Testo unico imposte ipotecaria e catastale - TUIC) nonché dall’art. 1 della Tariffa acclusa a quest’ultimo decreto (Agenzia delle Entrate, Circ. n. 18/E del 29 maggio 2013).
L’Amministrazione Finanziaria rinviava, pertanto, l’applicazione dell’aliquota “differenziata” in ragione della sottoscrizione dell’atto da parte di un soggetto qualificato (CD o IAP) o meno. In realtà, il nodo focale della questione riguardava ben altra cosa, e cioè il concetto di “trasferimento”; più propriamente il tema di fondo, poi analizzato dalla Cassazione, era se nel concetto di trasferimento vi rientravano anche agli atti costitutivi di diritti reali di godimento come le servitù. Per quest’ultima, al riguardo, il termine "trasferimento”, conformemente all'etimo latino, è stato usato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento. Ulteriore corollario è che il termine in questione non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente, ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante).
In tema di servitù si parla, infatti, di “costituzione” e non di trasferimento, in armonia con il carattere costitutivo che presenta ogni relativa acquisizione, al pari dell'usufrutto e dell'ipoteca. Nessuna persona di buon senso può dire di trasferire una servitù quando il suo fondo viene gravato da un peso a vantaggio di un altro fondo (cfr. Cass., Sent. n. 16495 del 4 novembre 2003)”.
Pertanto, secondo la Corte, la nozione di “trasferimento” risulta inadeguata a proposito delle servitù perché la costituzione non ha l'effetto di "spostare" un diritto da un fondo ad un altro, bensì di creare fra essi una "relazione" giuridica permanente, da cui derivano diritti e obblighi. Sta di fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha mutato il suo orientamento e questo ha generato un cospicuo contenzioso, come dimostrato dalle recenti sentenze della Cassazione, incentrato appunto sulla corretta applicazione dell’aliquota dell’imposta di registro agli atti pubblici “costitutivi” delle servitù su terreni agricoli.
Ovviamente, e lo si ribadisce ancora, le vertenze fanno riferimento, compresa quella in commento, ad atti posti in essere prima del 2014, cioè antecedenti alla riformulazione del D.P.R. n. 131/1986, art. 1, Tariffa, parte prima, operata dal D. Lgs. n. 23/2011, art. 10, comma 4; revisione che ha ridotto le aliquote applicabili agli atti a titolo oneroso, traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari (2, 9 e 15%). Attualmente, gli atti costitutivi di servitù su terreni agricoli sono soggetti all’aliquota corrispondente del 9%.
Tornando all’Ordinanza n. 22118/2020, tutto aveva avuto inizio con la notifica di un avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro (anno 2011) per una servitù di gasdotto costituita su terreno agricolo; operazione soggetta, a parere dell’ufficio, all’aliquota del 15%. La contribuente, di parere opposto, ricorreva alla C.T.P. ritenendo applicabile, invece, quella ridotta dell’8%, sul presupposto che nella nozione di trasferimento non può rientrare la costituzione di servitù. Il ricorso era accolto e analogamente la C.T.R. respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate.
Nel ricorso per Cassazione, l’Amministrazione Finanziaria contestava la decisione dei giudici di secondo grado rimanendo ferma sulle sue convinzioni. La Corte Suprema, richiamandosi ad una giurisprudenza ormai consolidata, ha ribadito, ancora una volta, quale sia il significato da attribuire al termine “trasferimento”, contenuto nel D.P.R. n. 131/1986, art. 1, Tariffa, parte prima; termine riferibile ai soli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non a quegli atti che riguardano, invece, la costituzione di diritti reali di godimento come la servitù.
I giudici di legittimità partono da alcune considerazioni, rilevando che:
Poiché quella di registro è “un'imposta d'atto” collegata ad atti o negozi giuridici posti in essere per la registrazione consegue che, se la normativa di riferimento contrapponeva (ieri come oggi) gli atti traslativi a quelli costitutivi di diritti reali di godimento, quali le servitù prediali, non vi è dubbio allora che il termine “trasferimento” si riferiva (ieri come oggi) ai soli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento.
Basandosi su queste considerazioni, acclarate dalla giurisprudenza (Cass., Sent. n. 22198 e n. 22201 del 5 settembre 2019), il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato respinto. Va segnalato che in precedenza (cfr. Cass., Ord. n. 6677 del 9 marzo 2020) un analogo contenzioso fra le stesse parti si era risolto positivamente a favore sempre del contribuente.
Risulta ormai confermato l’indirizzo assunto dalla Cassazione sul particolare argomento; una posizione ben definita che pone l’Amministrazione Finanziaria in una situazione di soccombenza dato l’esito scontato delle vertenze; questo per quanto riguarda ovviamente il pregresso, perché per il futuro il problema non si pone affatto posto che l’attuale normativa di riferimento, quella post riforma, è alquanto chiara in proposito. Ricorrendo tali fattispecie si applica l’aliquota del 9% (all’epoca 8%).
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